La famiglia Mulino Bianco non esiste

di Valentina Li Puma

 

Nelle mura domestiche e negli ambienti famigliari può nascondersi un orco sotto mentite spoglie. "Giocare” è una cosa seria, ma a volte il vocabolo è usato impropriamente e perversamente da un abusatore domestico con la propria vittima. La violenza è spesso camuffata con l’imbroglio, spacciata per affetto e privilegio, proposta come un gioco segreto.

 

L’immaginario collettivo dell’abusante è di un mostro, quindi facilmente riconoscibile, estraneo al nucleo familiare dell’azienda Mulino Bianco. Il fenomeno degli abusi infantili nelle mure domestiche è ampiamente diffuso, inascoltato, sommerso per la rivelazione sociale e giudiziaria.

Nella casa dell'orco viene meno lo stereotipo della "casa dolce casa", microcosmo pieno di accudimento, nido da cui il bambino possa essere educato sulla sessualità e l’affettività, diventando cittadino responsabile. Qui prende residenza la paura di amare ed essere amati, la delusione, l’umiliazione, il lutto e la perdita della fiducia.

 

Alle finestre ci sono sbarre di odio, rancore, paura, colpa e disprezzo per il proprio corpo. Nessuna dignità e rispetto al campanello di un essere umano che giunto alle porte della vita si vede preclusa l’empatia, l’accettazione, la felicità, la fiducia nelle carezze, l’affetto, la sicurezza, la protezione, la disciplina, la libertà di sviluppare la propria personalità, l’onestà, il gioco attivo e creativo.

 

L’abuso ai danni del minore causa un forte trauma psicologico anche di lunga durata e di difficile risoluzione spontanea nel corso della vita. Tanto che questo tipo di violenza è definito una “bomba a orologeria psicologica”.

In queste situazioni vige spesso l'omertà: non vedo il male, non sento il male, non parlo del male. Per uscire da questa situazione serve empatia e comprensione.

 

La terapia. Dopo aver lasciato schiudere fiduciosamente lo stremato bambino, le esperienze che hanno generato il trauma saranno rielaborate e il ciclo del maltrattamento sarà interrotto. 

 

In un paese civile anche le relazioni più intime devono riconoscere dei limiti, che disciplinano l’arbitrio dei singoli “giocatori”, quindi l’obiettivo della terapia è che niente dei “giochi” futuri sia più come prima. 

 

(Articolo di Valentina Li Puma, laureata in psicologia, specializzata in sessuologia)

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