di Luca Bozzoli
Matteo Dallavalle, asolano di 25 anni, ha percorso più di 4000 chilometri in bicicletta. Il primo agosto 2015 ha raggiunto Capo Nord, in Norvegia. Era partito il 31 maggio da Asola. In questa intervista ci ha raccontato quei 60 giorni.
Viaggiare: un verbo. Una parola lunga. Per tutto ciò che accade tra due punti. Per l’andare tra due luoghi e non quei luoghi. Viaggiare è casa ed è altrove.
Cominciamo da casa, dai passi verso casa: cos’è tornare?
Il tornare insieme al partire sono secondo me le due parti più difficili di un viaggio e riprendere la vita normale dopo un’esperienza del genere non è stato facile. E non è semplice neanche adesso ripensando a quello che ho trascorso. Per due mesi mi sono svegliato senza sapere cosa mi aspettava e di vivere veramente alla giornata. Ogni giorno era diverso, pieno di novità e di nuove sfide. Ritornare alla mia vita di tutti i giorni, non è stata una cosa negativa però devo dire che non è stato immediato dimenticare quella spensierata leggerezza con cui affrontavo le giornate. Non ho mai aspirato a essere un vagabondo, anche se ai più ho dato questa impressione. Il tornare era già previsto ancora prima che partissi. I viaggi che ho fatto (e che farò in futuro) mi sono serviti per vedere posti nuovi, incontrare e conoscere persone, imparare cose nuove ma soprattutto per scoprire di più me stesso. Tutto ciò che ho appreso sulla strada mi sta servendo e mi servirà per affrontare la vita in maniera diversa.
Capo Nord, altrove, fino a dove finisce la terra. Perché?
Diciamo che non c’è stato un motivo ben preciso. Prima di partire avevo la testa e le gambe puntate verso oriente, in Cina per la precisione. Da sempre avevo in mente di ripercorrere il tragitto fatto da un mio bisnonno durante la Grande guerra come prigioniero (austriaco: mio bisnonno infatti era trentino e quindi ha combattuto con l’esercito austro-ungarico per poi tornare in Italia come irredentista) attraverso tutta la Siberia e poi in Cina fino a Tian Jin. Quest’anno mi sembrava il momento ideale per commemorare questa incredibile vicenda visto che è il centenario della prima guerra mondiale. Purtroppo, o per fortuna, ho avuto dei problemi ad ottenere i visti per la Russia e la Cina e quindi mi sono trovato a cambiare i miei piani da un momento all’altro e il primo pensiero è stato di rimanere in Europa.
Cercando una meta che potesse sostituire in maniera degna l’impresa sfumata senza rinunciare a quello che volevo: un’avventura in solitaria, in bici e in totale autonomia. La mia attenzione è caduta subito su Capo Nord, Norvegia. Già solo il nome ha rievocato in me vecchie storie di vichinghi, esploratori, lande desolate. Insomma, avventura pura.
Italia, Austria, Repubblica Ceca, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia e Norvegia. Cosa e come cambia?
Il bello del viaggiare in bici o comunque in modo lento è proprio il fatto di vedere le culture e i paesaggi che si trasformano chilometro dopo chilometro. Capisci che i confini politici non sono altro che semplici linee buttate lì per chissà quali ragioni e che a volte hanno diviso invece che unire.
Pedalando verso L’Austria, passando dal Trentino e l’Alto Adige questo cambiamento culturale lo si nota in modo progressivo. Personalmente posso dire che queste zone sono state le mie preferite data la mia passione per le montagne, ma anche per l’incredibile rete di ciclabili. Poi, passata Vienna si comincia a sentire un qualcosa di est Europa partendo dalla morfologia più pianeggiante. Entrando in Repubblica Ceca, la lingua in primis, cambia radicalmente. Suoni mai sentiti prima che faccio fatica a interpretare. Se con il tedesco potevo cercare di indovinare quello che mi dicevano, con il ceco ho avuto vita difficile a farmi capire. La Polonia mi ha colpito molto per le grandi pianure. Interminabili distese verdi che mi hanno regalato un grande senso di libertà mentre pedalavo. Lituania, Lettonia ed Estonia me le sono bevute tutte in un sorso. Questi paesi sono sempre stati abbastanza anonimi per me ma ho scoperto tanto visitandoli. Riga, le spiagge lettoni sul Baltico, i boschi estoni, Tallinn. Tutti posti che mi hanno estremamente affascinato.
Tallinn-Helsinki via nave. L’unica parentesi marina di questo viaggio. Ammirare il mare mosso è stato quasi ipnotizzante. Messo piede in Finlandia e uscito dai grandi centri abitati (con una nuova bici perché l’altra con cui ero partito me l’avevano rubata) mi sono sentito un po’ come in qualche storia di Jack London. Le grandi foreste, la natura incontaminata, la vastità dei laghi, è stato per me un qualcosa di indescrivibile. Trovarmi a pedalare su quelle strade solitarie per intere giornate mi ha fatto assaporare di più il viaggio.
Qual è l’impressione dominante che ti ha accompagnato durante questo tuo viaggio?
Le due cose che mi hanno accompagnato per l’intero viaggio sono state la fatica e il silenzio. Prima di partire non ero tanto preoccupato dei chilometri che mi aspettavano ma della solitudine. Sulle grandi distanze ho imparato che il fattore determinante non è tanto la forma fisica, la bici performante o le “bombe” che bevi per tirare avanti. Ma la testa. Saper gestire bene la fatica, il pensiero che sei da solo e che se ti capita qualcosa di brutto la mamma non può aiutarti in nessun modo, è essenziale.
Raccontaci una storia, un aneddoto, un paesaggio. Un ricordo del tuo viaggio.
Uno dei ricordi più belli è stato il giorno del mio compleanno. Per tutto il viaggio mi sono immaginato dove e con chi avrei passato il mio primo quarto di secolo. Avevo grandi aspettative. Purtroppo mi ritrovai il 27 luglio a dover affrontare una delle giornate più difficili del viaggio. Partii alla mattina presto dal campeggio dove avevo dormito con il ginocchio dolorante già dal giorno prima. Il meteo che non prevedeva nulla di buono e difatti fu così. Pioggia, vento contro e temperatura intorno ai 10 gradi che diminuiva più aumentavo il ritmo delle pedalate.
Il caso ha voluto che quel giorno mi trovassi in Lapponia. Zone abbastanza disabitate. Il campeggio che volevo raggiungere distava a più di 100 km da dove avevo dormito il giorno prima ed era l’unico posto “vicino” dove poter dormire comodamente e all’asciutto. Pedalai tutto il giorno come mai avevo fatto prima e mi fermai solo per “pranzare”. Un paio di tramezzini bagnati e via. Mi ricordo che nonostante il mal di ginocchio e il freddo mi sentivo stranamente bene e non ero per niente stanco. Arrivai, finalmente, al campeggio che mi ero prefissato di raggiungere nel tardo pomeriggio totalmente inzuppato d’acqua e con in mente una sola cosa, dormire. Posso dire con tutta onestà che quello è stato uno dei giorni migliori del viaggio perché nonostante il tempo infame, il fatto che mi trovavo solo come un cane, disperso nel cuore della Finlandia e stanco morto mi sentivo felice di essere lì e di godermi quel momento semplicemente gustandomi una birretta seduto fuori dal bungalow immerso nella foresta ammirando il laghetto di fronte.
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giordano busi (martedì, 26 gennaio 2016 05:54)
Un asolano speciale, si danno tante "benemerenze".....
monica (giovedì, 28 gennaio 2016 08:20)
Grande Matteo,
Io lavoro con la tua mamma!!!
Continua così, ciao
Massimo (venerdì, 29 gennaio 2016 15:23)
Testa, gambe, cuore e coraggio.... Complimenti Matteo da chi di bici se ne intente. Gramde Impresa!!!