di Enrico Cantino
Per quanto possa suonare banale o scontato, i personaggi degli anime giapponesi hanno una loro sessualità. In un certo senso, c’entra la religione. I giapponesi non hanno un retroterra cristiano, quindi vivono il sesso in maniera diversa rispetto agli occidentali. Per loro non è un tabù e non causa alcun complesso, tanto è vero che in molti templi shintoisti il kami – vale a dire la divinità – è rappresentato dall’organo genitale femminile o da quello maschile (secondo lo Shintoismo, infatti, le isole del Giappone nascono dall’unione sessuale fra gli dèi Izanami e Izanagi).
I piaceri dei sensi sono apprezzati e coltivati come fossero una vera e propria arte, nella consapevolezza che è però necessario mantenerne il controllo. Esiste poi una distinzione netta fra rapporti coniugali, appartenenti alla sfera degli obblighi individuali, e attività erotica, considerata d’importanza secondaria perché svolge una funzione distensiva. Non si formulano valutazioni moralmente negative sui cosiddetti «piaceri materiali». Per questo nelle serie animate giapponesi non erotiche, le scene di nudo e le allusioni alla sessualità sono numerose e inserite con estrema naturalezza nel contesto.
Fujiko, la fidanzata doppiogiochista di Lupin III, ha un fisico prorompente che utilizza per sedurre gli uomini che incontra sul suo cammino. In Lamù il discorso diventa addirittura esplicito. In fondo, Ataru Moroboshi, il protagonista, è uno di quelli cui basta che una donna respiri. La maghetta Bia di Bia la sfida della magia, indossa una minigonna vertiginosa da cui si dipartono due gambe chilometriche. E nella sua stanza sfoggia quasi sempre una vestaglia rosa trasparente che non cela reggiseno e mutandine.
Non basta. Ci sono sigle in cui le protagoniste di alcuni anime al femminile vengono mostrate senza veli, come la strega Ransie, coperta soltanto da un mantello, e Lady Oscar, circondata e avvolta dalle spine di un roseto (il titolo originale della serie, Versailles no bara, significa «La rosa di Versailles»). L’eroina francese è protagonista di altre scene “forti”: l’amico d’infanzia André, innamorato perso, per poco non la stupra. Più avanti, gli si concederà durante una notte di disperato amore. E lasciamo stare Lady Georgie, la cui esuberanza sessuale la porta a stare spesso mezza nuda.
Troviamo in diverse serie personaggi dall’identità sessuale incerta. Visto che i giapponesi non hanno una morale di tipo cristiano, non parlerei d’ambiguità. Nella maggior parte dei casi, si tratta di bishōnen, letteralmente «bei ragazzi», dai tratti decisamente effeminati: chiome lunghe e fluenti (bionde o rosa-fucsia), lineamenti molto delicati, ciglia interminabili, occhi affilati e labbra di un rosa piuttosto carico, tanto che sembrano avere il rossetto, il cui uso è peraltro previsto dal codice d’onore dei samurai. Vi si afferma infatti che «è bene portare sempre con sé il rossetto», poiché in alcune occasioni – cioè «dopo esserti ripreso da una sbornia, oppure quando ti alzi al mattino» – è opportuno servirsene.
I Cavalieri di Atena, protagonisti de I Cavalieri dello Zodiaco, ne incontrano un esempio classico: il Cavaliere d’oro Fish, che presiede alla Casa dei Pesci. Capelli rosa a boccoli, bocca che sembra avere appunto il rossetto e fascino da vendere, tanto che Pegasus e Sirio rimangono come abbacinati dalla sua bellezza. Oltretutto, il suo modo di combattere è sintomatico: utilizza le rose come armi. Anche Ken il guerriero ne incontra uno: Judas, della scuola di Nanto. Lui, addirittura, si trucca, e nello scontro che vede la sua sconfitta, poco prima di morire, fa una specie di dichiarazione a Rei, l’amico fraterno di Ken: qualcosa del tipo ho sempre ammirato la tua tecnica e l’armonia dei tuoi gesti.
I travestiti non mancano, ma sono tutti donne che fingono di essere uomini, per formazione o per necessità. Oscar François de Jarjayes, citata poco sopra, ha avuto un’educazione maschile e si veste da uomo. La popolana Rosalie, presa sotto la sua protezione, non sapendo che è una donna, si prende una cotta per lei. C’è anche Zaffiro, principessa che deve fingersi un ragazzo perché le leggi del suo regno proibiscono che le donne salgano sul trono. E siccome lei è l’unica erede del sovrano, le tocca travestirsi.
Chiudiamo la carrellata con un “caso limite”. Ranma ½ è un anime che ha per protagonista un ragazzo di nome Ranma, vittima di una singolare maledizione. Se si bagna con acqua fredda, diventa una ragazza. Per tornare normale, gli serve dell’acqua calda. Questa sua duplice natura genera spassosi equivoci a non finire.
La disinvoltura con cui i giapponesi trattano l’omosessualità risiede soprattutto in una morale che, non essendo cristiana, non prevede i concetti di peccato e di senso di colpa. In più, i rapporti omosessuali sono accettati e incoraggiati dal codice d’onore dei samurai. Per indicarli, viene utilizzato il termine shudo, traducibile con «Via dell’Amico». Lo scrittore Yukio Mishima sostiene che nel periodo in cui venne redatto l’Hagakure – opera che racchiude i principi etici dei guerriei nipponici – «l’amore di un uomo per un altro uomo […] era considerato un sentimento più nobile e spirituale dell’amore per una donna»: l’importante era che ciò non interferisse con gli obblighi della vita familiare. Testimonianze sugli amori e sulle passioni tra samurai si possono trovare nei racconti dello scrittore Ihara Saikaku.
È soltanto un’ipotesi personale, ma la presenza negli anime di uomini che sembrano donne e di donne che si vestono come uomini, potrebbe trarre ispirazione dal Teatro Kabuki. In origine (secolo XVII), i ruoli erano invertiti: agli uomini erano affidate le parti femminili e viceversa. Dal 1645 al 1868 proibiscono alle donne di comparire sulle scene: gli interpreti del kabuki sono esclusivamente adolescenti. Per evitare di favorire, come dice Piero Lorenzoni nella sua Storia del teatro giapponese «le tendenze anormali di un certo pubblico», si vieta agli attori, impegnati in ruoli muliebri, di portare abiti femminili e di farsi crescere i capelli. In molti di loro, in effetti, per scatta un meccanismo di eccessiva immedesimazione. Fra l’altro, esistono anche gli onna-kabuki, vale a dire i teatri formati esclusivamente da attrici. Il più famoso è il Takarazuka, composto da ragazze tra i 16 e i 20 anni che sostengono anche ruoli maschili. Nemmeno a farlo apposta, uno dei più grandi successi di questo teatro è proprio lo spettacolo tratto dalla storia di Lady Oscar.
Scrivi commento
Stefano Rosa (venerdì, 01 aprile 2016 14:14)
Finalmente giornalismo consapevole. Il vostro punto di vista è tra i più freschi in circolazione. Bravi!